Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il Patrocinio della Regione Toscana, dal 17 luglio al 31 ottobre 2004, le sale del Castello Pasquini di Castiglioncello ospiteranno la mostra “Dai Macchiaioli agli Impressionisti. Il mondo di Zandomeneghi”.
L’iniziativa, che il Comune di Rosignano Marittimo promuoverà attraverso il Centro per l’Arte “Diego Martelli”- Archivi dell’800 e del ‘900, con la consueta collaborazione della Galleria d’arte moderna di Firenze, rappresenta il quarto appuntamento del percorso finalizzato ad indagare aspetti ancora inesplorati della ricerca macchiaiola, il suo legame con i luoghi della Toscana ed il suo condividere i contemporanei fermenti figurativi europei.
Curata da Francesca Dini, la mostra ripercorre in maniera inedita, attraverso più di sessanta opere di Zandomeneghi ed altri sceltissimi e significativi dipinti di Macchiaioli ed Impressionisti, provenienti da importanti raccolte pubbliche e private, il particolare itinerario artistico che condusse Federico Zandomeneghi dalla formazione in ambiente veneziano, alla condivisione delle contemporanee ricerche toscane, all’interesse per le tematiche naturalistiche, alla significativa partecipazione, unico tra gli Italiani, alle esposizioni parigine degli Impressionisti.
Amico intimo di Diego Martelli, Zandomeneghi maturò nella villa che il critico possedeva a Castiglioncello l’idea di recarsi a Parigi e fu ancora grazie al sostegno dell’amico, che riuscì a mitigare le asperità del suo carattere e ad aprirsi, con intelligenza e sensibilità artistica, alle tendenze più avanzate della pittura francese.
Castiglioncello ospita la prima mostra che la Toscana dedica a questo artista originale, cercando di documentare la vicenda umana ed artistica che lo portò a coniugare il colore della grande pittura veneta, assimilato nell’ambiente artistico familiare, con il rigore formale della tradizione toscana, apprezzato attraverso il sodalizio con gli amici Macchiaioli ed il grande Degas, ed il cromatismo spregiudicato e vibrante dell’Impressionismo francese, approdando ad esiti che talvolta preludono alle soluzioni formali postimpressioniste.
LA MOSTRA
La mostra si articola in quattro sezioni.
La prima sezione della mostra analizza le inevitabili suggestioni e concomitanze con l’attività di altri artisti che furono compagni di strada di Federico: accanto a “Gli innamorati” sono esposti “I fidanzati” di Silvestro Lega, accostamento che suggerisce la partecipazione di entrambi al clima “di Piagentina”, mentre il notissimo “La lettrice” nella solarità tipica della cosiddetta “scuola di Castiglioncello” fa ideale pendant con la celebre “Marina” di Raffaello Sernesi. Quest’ultima, posta accanto a “Bastimento allo scalo” di Zandomeneghi induce a riflettere sul ruolo di mediatore che Federico rivestì tra la tradizione del paesaggio toscano e quello veneto che ebbe in Guglielmo Ciardi l’esponente più insigne. Il quadro più impegnativo di questa attività italiana è “Impressioni di Roma”, opera che raffigurando i poveri assistiti dai frati di un convento romano, si pone in linea con la grande pittura a sfondo sociale di Telemaco Signorini (“La sala delle agitate nel manicomio di Firenze”, “L’alzaia”) e di Michele Cammarano (“Incoraggiamento al vizio”). Negli ultimi anni della sua vita italiana, riaffiorano i temi claustrali un tempo cari a Beppe Abbati, reinventati tuttavia con fare più narrativo e la cromia brillante nei rossi, nei viola e nei blu, che diverrà tipica degli anni francesi. Zandomeneghi trascorre i primi sei mesi del 1874 a Castiglioncello, nella villa Martelli, dove matura il progetto di recarsi a Parigi, il centro del mondo artistico nel quale impera il Naturalismo di Jules Breton, di Jules Bastien-Lepage, di Carolus-Duran e dove fa notizia la partecipazione del già allora celeberrimo De Nittis alla mostra di un drappello di artisti d’avanguardia, presso il fotografo Nadar.
Il soggiorno a Parigi, previsto di durata lunga ma limitata, non ebbe invece più fine. Saranno d’impedimento al rientro di Zandomeneghi in patria ora le difficoltà economiche, ora il carattere introverso e orgoglioso, poiché egli che avrebbe voluto emulare il successo dei connazionali Giovanni Boldini e Giuseppe De Nittis, e rientrare in Italia da trionfatore, fu penalizzato dalle proprie scelte artistiche: la via dell’Impressionismo che a posteriori si dimostrerà vincente, fu assunta dal burbero italiano con tutto il peso delle tribolazioni e delle incomprensioni, come ci narra Diego Martelli che fu vicino e solidale a Zandomeneghi nei difficili momenti della svolta impressionista.
Alla mutazione del pittore è dedicata la seconda sezione della mostra che, ponendo l’artista, raffigurato in un raro “Autoritratto”, di fronte ad alcune opere di maestri impressionisti (Camille Pissarro, “Jardin”; Paul Gauguin, “Paysage de Viroflay; Alphonse Maureau “Barche sulla Senna”) tenta di suggerire, se possibile, il clima di turbamento che anima il veneziano nei primi tempi del suo soggiorno parigino. Tra il 1876 e il 1878 il pittore attua la sua “svolta” in senso impressionista, magnificamente emblematizzata da “A letto” (1878) esposto per la prima volta unitamente al dipinto preparatorio (1876), e da “Le Moulin de la Galette” che nella gaiezza irruenta dei colori e nella modernità del taglio appare come l’espressione altissima di una ritrovata emancipazione.
Al suo giungere a Parigi dunque il pittore veneziano è un trentacinquenne artista formato e completo, con una particolare abilità nel quadro di figura. La presenza di Diego Martelli - a Parigi nel 1878-79 - fu comunque fondamentale per confermare il titubante pittore nelle sue scelte estetiche; ma anche per liberarlo dall’isolamento culturale cui lo costringevano sia il pessimo carattere, sia la sua condizione di straniero, poco incline (diversamente da De Nittis e da Boldini), alla mondanità. Grazie all’intermediazione del critico italiano che ebbe modo di farsi conoscere e apprezzare nella società artistica parigina (Martelli si occupò con convinzione del movimento impressionista e della sua divulgazione in Italia), Zandomeneghi instaurò molto presto un duraturo rapporto di consuetudine e di amicizia con Edgar Degas.
La terza sezione della mostra raccoglie splendidi dipinti, nati ad evidenza nel clima di totale, personalissima adesione di Zandomeneghi al movimento impressionista francese:, Place d’Anvers, Il dottore, Ritratto della madre, Al caffè Nouvelle Athènes, Le pot au lait, Visita in camerino, Place du Tertre, Femme au balcon, ed alcuni preziosi “nudi” femminili, sono le opere che rappresentarono l’artista alle esposizioni del gruppo francese, successivamente al 1879. Il 1886 è l’anno dell’ultima collettiva del movimento francese, la cui compattezza – così com’era avvenuto sedici anni prima per i Macchiaioli – viene meno; ma è anche l’epoca in cui Zandomeneghi frequenta il più giovane Henry Toulouse-Lautrec che egli ha il merito di instradare all’Impressionismo. Più volte si trova ad accompagnare Armand Guillaumin (di cui è testimone di nozze insieme a Paul Gauguin) nelle sue incursioni nella campagna di Damiette, nella valle di Chevreuse (si confronti il “Paysage” di Zandò con “Les meules” di Guillaumin).
La quarta sezione della mostra, nelle sue due sale, raccoglie i capolavori della produzione più conosciuta di Zandò. Egli è sempre vicino a Degas, vuoi per l’innegabile affinità delle scelte culturali e formative, vuoi per l’autentica amicizia, vuoi per l’indubbia attrattiva che il grande maestro francese esercita sul veneziano come del resto su tutti gli artisti suoi contemporanei; Degas che pure lo tiene tra i suoi abituali con lo scultore Paul-Albert Bartholomé, non gli risparmia il suo sarcasmo, e invitandolo a posare per un ritratto scultoreo lo apostrofa “Zandomeneghi, vous qui n’avez rien à faire…”. Anche i rapporti con Renoir sono familiari, ma il sarcasmo non è meno feroce « Voyons, Zandomeneghi, ce n’est pourtant pas ma faute, si l’Italie n’a pas encor conquis la France, et si vous ne pouvez pas faire votre entrée dans Paris vetu d’un costume de doge... ». Non è da escludere che questo sarcasmo, certamente provocato dal carattere burbero del pittore veneziano, debba tuttavia anche essere interpretato come una maliziosa ritorsione nei confronti dell’italiano che è arrivato a contender loro le grazie della Maison Durand-Ruel. A partire dal 1894, infatti, Zandomeneghi è legato alla celebre casa di vendite da un contratto di esclusiva.
Gradatamente (Il giubbetto rosso, En promenade, La conversation, La tasse de thé, Femme au miroir) il pittore italiano perviene ad una “cifra” propria in cui la sintassi impressionista ritrova la pienezza classica, tutta italiana, della forma.
IL CATALOGO
Edizioni Polistampa - Firenze
Il catalogo curato, come la mostra, da Francesca Dini, segue l’iter artistico sopra delineato, con l’ausilio delle schede critiche di Rossella Campana. I contributi al catalogo sono concepiti quali approfondimenti di aspetti spesso glissati, concernenti la personalità culturale del Nostro.
Carlo Sisi si occupa per mezzo di una rara raccolta di incisioni di Luigi (nonno di Federico) della cultura familiare degli Zandomeneghi, quali inevitabili premesse alla formazione del Nostro; Cosimo Ceccuti traccia il ritratto di Federico patriota garibaldino; Piero Dini si occupa della Esposizione Universale del 1889 in cui Zandò espose un insieme di opere del suo periodo impressionista, sollevando critiche disparate. Si ripropone, inoltre, un breve scritto di Anna Toniolo, nipote dell’artista, che con piacevole taglio giornalistico, evoca la vita di Federico, attingendo a fonti familiari, non sempre storicamente esatte, ma di sicuro fascino.
FEDERICO ZANDOMENEGHI
Federico Zandomeneghi (Venezia 1842 – Parigi 1917) è noto ed amato interprete della figura femminile colta con garbo nei diversi, quotidiani momenti della vita privata, dalla passeggiata al bois, alla toilette, dalla conversazione con le amiche alla lettura: una gamma di buoni sentimenti, di gesti, di sguardi che, per quanto colti nella donna della media borghesia francese di fine Ottocento, rispondono tuttavia ad un’idea universale di femminilità di cui Zandomeneghi vuol essere in qualche modo sacerdote e cantore. Questa pittura, scevra dell’aggressività talentuosa e dei compiacimenti virtuosistici di un Boldini, sembra piuttosto coniugare la modernità dei tagli di Degas ai preziosismi cromatici di Renoir, riuscendo tuttavia a prodursi assolutamente nuova e originale.
A monte di questo sta il lungo percorso di un artista coerente, capace di sopportare il peso di scelte estetiche e di vita spesso ardimentose. Come quella di lasciare la città natale, Venezia, rinunciando ai vantaggi che gli sarebbero derivati dalla notorietà della sua famiglia di celebrati scultori (il nonno Luigi era stato intimo di Antonio Canova ed il padre Pietro aveva portato a termine il Monumento a Tiziano nella Chiesa dei Frari). A causa dei suoi ideali anti-austriaci, il diciannovenne Zandomeneghi lascia Venezia per Milano e poi per Firenze, dove giunge nel 1862, dopo aver partecipato ad una delle spedizioni di supporto ai Mille di Garibaldi e dopo aver terminato gli studi all’Accademia di Brera.
Gli esordi artistici di Federico sono dunque in seno ai Macchiaioli dei quali condivide le lunghe lotte, gli ideali estetici e quelli patriottici La mostra di Castiglioncello si propone di ricontestualizzare il percorso di Zandomeneghi, partendo proprio dagli anni italiani dell’artista (1862-1873), spesso ignorati per la difficoltà di reperirne le opere più significative.
Data di revisione/modifica: 16-01-2009